Lo Smartphone ai tempi di Duchamp.

L’arte di decontestualizzare gli oggetti.
Lo Smartphone, ovvero l’oggetto dei desideri.
Un oggetto di uso frequente ed oramai indispensabile, con il quale è possibile telefonare, scrivere, fotografare ma, soprattutto essere onnipresenti nella rete attraverso internet, almeno fino a quando le batterie lo consentono.
Ma cos’è uno Smartphone?
Wikipedia lo indica come “telefonino intelligente”.
A guardarlo attentamente, lo Smartphone può essere interpretato come un’accozzaglia di oggetti, ognuno dei quali conserva delle funzionalità specifiche (camera, telefono, “macchina da scrivere”, ecc).
In un recente passato, sarebbe stato difficile ipotizzare di “blisterare” tutto questo in un unico oggetto, per di più tascabile.
Anzi se una quarantina d’anni fa qualcuno avesse detto che un telefono potesse essere intelligente, probabilmente sarebbe stato additato come pazzo (visionario).
Ma quando l’evoluzione di un’idea (folle) avviene in maniera graduale, attraverso lo sviluppo tecnologico, questa entra  prepotentemente nel modo di vivere degli individui, dettandone tempi e modalità di azione, senza che questi se ne accorgano.
L’oggetto allo stato d’idea.
Marcel Duchamp (1897-1968) potrebbe essere tranquillamente annoverato nell’albo dei “pazzi visionari”, se non fosse per il fatto che la storia gli riconosca a pieno titolo (e merito) lo status di artista e genio, come solo pochi hanno saputo esserlo.
Duchamp è stato uno dei maggiori esponenti del movimento avanguardista Dada, corrente artistica nata a Zurigo nel 1916.
Questo movimento artistico, fece dell’oggetto il suo perno fondante ed elemento fondamentale della sua poetica.
In particolare Duchamp ha speso buona parte della sua ricerca artistica nel tentativo di conferire all’oggetto semplice, quotidiano e convenzionale, il potere di spiazzare l’osservatore.
Ed è riuscito  completamente a soddisfare questa sua esigenza.
Di sicuro la sua opera più provocatoria e dissacrante da questo punto di vista è quella che lui stesso propose per una mostra a New York e che firmò sotto lo pseudonimo di R. Mutt.
L’opera s’intitolava Fontana.
E venne ovviamente scartata.

Marcel Duchamp: Fontana. Fonte http://www.moma.org/
Marcel Duchamp: Fontana 1917.                            Fonte http://www.moma.org/

Il titolo che cambia la natura dell’oggetto.
La prima volta che vidi questa  “scultura” non mi resi immediatamente conto della sua originale paternità, ossia che fosse un orinatoio maschile capovolto.
Mi ero concentrato prevalentemente  sul titolo dell’opera e non sulla forma suggerita dell’oggetto stesso: la mia attenzione era catturata dalla parola Fontana.
Ma anche dopo aver scoperto la “dura realtà”, per me quella continuava ad essere una Fontana.
Quali operazioni aveva messo in atto Duchamp attraverso la sua Fontana?
1) Aveva idealizzato l’orinatoio, “rimuovendolo “ dal suo luogo originale (bagno pubblico).
2) Aveva capovolto l’oggetto, cambiando così la sua percezione.
In sostanza Duchamp aveva decontestualizzato l’oggetto.
Non solo, ma proponendolo all’interno di un museo per far bella mostra di sé, gli conferì un nuovo status: quello di Opera d’Arte.
Non male per un orinatoio maschile, tenendo conto del ruolo e della posizione che occupava fino a qualche istante prima.
L’oggetto dei desideri.
Rovistando tra i manuali di Storia dell’Arte, ho trovato una dichiarazione che Duchamp formulò proprio in merito alla sua Fontana:

“La mia fontana-pisciatoio partiva dall’idea di […] scegliere l’oggetto che ha meno possibilità di essere amato. Ci sono poche persone che trovano meraviglioso un pisciatoio.”

Ma a chi sono queste poche persone a cui potrebbe risultare meraviglioso un orinatoio?
La risposta è semplice.
Le persone a cui chi “scappa” il bisogno in modo impellente e si trovano per strada; per loro l’orinatoio diventa qualcosa  di sublime e viene idealizzato dalla loro mente nel disperato tentativo di trovarlo.
A pensarci bene poi, non sarebbero così poche queste persone.
In fase “liberatoria” l’orinatoio diventa un vero e proprio oggetto del desiderio, la meta tanto agognata e quasi insperata.
Salvo poi essere bistrattato e denigrato un attimo dopo.

Marcel Duchamp, fotografato da Man Ray, che veste i panni di Rose Sélavy. Fonte Wikipedia
Marcel Duchamp, fotografato da Man Ray, che veste i panni di Rose Sélavy.
Fonte Wikipedia


L’oggetto smembrato.
Duchamp attraverso il  suggestivo accostamento di parole oggetto/meraviglioso, lascia una traccia significativa che consente di dar luogo ad un piccolo esperimento.
Tenendo conto che lo  Smartphone costituisce l’oggetto dei desideri al pari della Fontana di Duchamp (più o meno), mi sono divertito a “smontarlo” e decontestualizzare le tre principali funzioni (oggetti) che lo connotano, ossia:
1)      Telefono.
2)      Macchina fotografica.
3)      Connessione ad internet e quindi costante contatto con il mondo esterno.
Poi ho provveduto ad assemblare nuovamente queste componenti, introducendo però, un elemento di “disturbo”, che ne ha mutato notevolmente la “narrazione” e di conseguenza la “fruizione”.
L’elemento di disturbo è costituito dalla domanda :
“Che forma avrebbe avuto lo Smartphone ai tempi di Duchamp?”
Questo è stato il risultato.
Uno Smartphone decisamente Vintage.
Uno Smartphone decisamente Vintage.

Per quanto intelligente possa essere, difficilmente questo “Smartphone” entrerebbe in una tasca, quindi sarebbe stato un fiasco totale.
Ma almeno sarebbe rimasta l’idea, che è la cosa più importante.
Conclusioni & Inviti “Oggettivi”
La tecnologia odierna (ma anche quella passata) si muove e prende forma dalle idee degli uomini.
Queste idee possono risultare strampalate, a volte danno la sensazione di essere inutili e spesso le troviamo riproposte sotto la veste di Opere d’Arte.
Eppure queste riescono a cambiare la nostra percezione del mondo.
Con questo non dico che in un futuro tutti prenderemo a bere dagli orinatoi.
E’ innegabile però che attraverso le sue operazioni di spiazzamento, Duchamp è riuscito a “smuovere le acque”.
Dissacrare la natura degli oggetti porta ad una nuova percezione di essi, permettendo così la scoperta di funzionalità prima del tutto ignorate.

L’idea è quindi un contributo creativo, che persone coraggiose formulano per cambiare in meglio la percezione del mondo.
E voi cosa ne pensate?
Che forma avrebbe avuto il vostro Smartphone ai tempi di Duchamp?
E  ancora, avete mai pensato di decontestualizzare gli oggetti e fonderli tra loro, per dar vita ad un prodotto nuovo, magari anche folle?

6 commenti su “Lo Smartphone ai tempi di Duchamp.”

  1. Articolo meraviglioso, Giuseppe, che contiene concetti affascinanti espressi con estrema chiarezza.
    Rifletto con calma sulle tue domande e vedo cosa riesco a cavarne fuori.
    P.S. Allora Duchamp non è un calciatore! 😉

  2. Buona sera Giuliana.
    Sono contento che il post ti sia piaciuto 🙂
    Parlare di orinatoi in arte è sempre un’impresa ardua, specie quando si affronta l’arte Dadaista, che è stata interpretata da attori totalmente folli come Duchamp, fuori dagli schemi e da qualsiasi logica comune di pensiero!
    Rifletti con calma sulle domande, non preoccuparti, anzi ti fornisco una specie di suggerimento.
    In base a quello che hai letto, pensa a qualcosa che abbia a che fare con Duchamp, ma non l’artista: il giocatore!
    Vedi un po’ cosa ne esce fuori.
    Ovviamente hai piena libertà d’azione: la mia proposta è semplicemente stata suggestionata dalla tua osservazione (Duchamp -> Artista, Duchamp -> Giocatore) 😀
    A presto!

  3. Eh eh, Giuseppe, ma così me la metti proprio su un vassoio d’argento 😀
    Mi sono ricordata tempo fa di aver visto la foto di questo: un orinatoio (Duchamp -> Artista) con inserita all’interno una piccola porta da calcio in miniatura, con pallone annesso (Duchamp -> Giocatore).
    Non so se vale, ma è comunque l’unione inconsueta di due mondi che apparentemente nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro.
    Scopo dello strano abbinamento? Invogliare gli uomini che orinano a mirare dritto sulla palla da calcio per provare a fare goal; evitando così di sporcare all’esterno del wc. Oggetto utile, divertente e ottimizzato. Me la dai per buona? 😉
    Tu cosa avevi in mente, invece?

  4. Bellissima questa foto!
    Certo che te la do per buona! 😀
    Inoltre credo che questo prodotto abbia un utilizzo più alto, che mira a salvare la vita delle persone!
    Ti chiederai: ma cosa stai dicendo Giuseppe?
    La foto che hai linkato, mi ha fatto venire in mente un modello di orinatoio brevettato in non mi ricordo quale paese straniero e presente all’interno di un pub.
    Al centro c’era un’etichetta con il simbolo del fuoco e con un messaggio che recitava in questo modo (credo, sto andando molto a memoria): “se riesci a spegnere l’incendio, allora puoi metterti alla guida”.
    Infatti, “facendo centro” il simbolo dell’etichetta mutava e quindi il fuoco si “estingueva”, segno che il “pompiere” era sobrio, quindi perfettamente in grado di guidare. 😀
    Un’idea geniale che sfrutta l’ironia e la dissacrazione, proprio come facevano i dadaisti.
    Poi ti ripeto, non avevo particolari idee, ma mi divertiva l’accostamento che hai fatto dei due Duchamp e la foto che hai inserito mi sta facendo sbellicare dal ridere!
    Grazie come sempre per il tuo contributo Giuliana!

  5. Non credevo che un giorno qualcuno potesse dirmi questa cosa, ma non mi spiace affatto, anzi mi rende felice! 😀
    Comunque nei prossimi post cercherò di parlare di nuovo di quadri e sculture un po’ più normali (o forse no!) 😀
    Buona giornata Giuliana 🙂

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