"Età del divano": un periodo storico nato mentre la Grecia si avviava nel suo "Periodo Classico"

Cos’è questa “Età del divano”, in quale segmento della storia si colloca, ma soprattutto: esiste un periodo storico chiamato in questo modo?

Di sicuro non troverete il termine “Età del divano” in alcun manuale di storia. Però c’è e l’ho individuato in un periodo che parte dal V secolo a.C., in Italia. Proprio nel momento in cui sul versante orientale del Mediterraneo, in Grecia, prendeva forma il “Periodo classico”: quello lo conoscete, no?

Facciamo un esperimento per fugare ogni dubbio

Se dicessi: “Antichi Greci”, cosa vi viene in mente?
Sono abbastanza sicuro che nella vostra mente scorrano carrellate di colonne che adornano i templi di Atene; a qualcun altro verranno in mente i Bronzi di Riace; oppure la statua del Discobolo; potremmo continuare all’infinito e la maggior parte delle opere che immaginate apparterranno “Periodo Classico”.
Se ora invece dicessi: “Etruschi”, cosa vi sovviene?
Magari i più bravi tra voi lettori, andranno a ripescare opere notevoli come la Lupa capitolina o la Chimera di Arezzo. Ma se non dovesse venirvi nulla in mente, non preoccupatevi: perché per quanto mi riguarda, confesso che quando si parla di Etruschi, la prima immagine che si proietta nella mia mente è quella di un divano. Certo, non mi riferisco a un divano comune, bensì al divano del Sarcofago degli Sposi, una scultura in terracotta rivenuta in una tomba etrusca, a Cerveteri.

“Sarcofago degli sposi”, conservato nel Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma. Fonte Wikipedia

E il discorso non cambia se dalla scultura ci spostiamo alla pittura: uno degli affreschi più celebri di origine etrusca si trova a Tarquinia, in una tomba ed è denominato Affresco della tomba del Triclinio, risalente proprio al V secolo a.C. Per chi non lo sapesse, il triclinio è la sala da pranzo in cui erano raggruppati [ma guarda il caso!] tre divani (dal greco, kline).

Detta in parole semplici, buona parte della produzione artistica etrusca era finalizzata all’arredo funerario, dove, a quanto pare non potevano mancare i divani.
Ma perché la maggior parte dell’arte etrusca era pensata per i defunti?
E perché, contemporaneamente in Grecia si veniva a sviluppare uno stile che l’ha resa celebre in tutto il mondo, visibile agli occhi di tutti tanto da influenzare gli etruschi stessi?
La risposta a queste domande si può ricondurre a una parola ben precisa: fatalismo.
Parafrasando il vocabolario (Devoto-Oli, per la precisione) apprendiamo che il fatalismo è un atteggiamento di rassegnata indifferenza conseguente alla convinzione che il mondo sia governato da un ferreo e incontrastato destino.

Per fare un esempio pratico, possiamo dire di essere dei fatalisti quando l’esito di una prova molto importante per noi (un esame, un colloquio di lavoro, un invito a cena, ecc.) va male o comunque non supera (e nemmeno pareggia) le nostre aspettative e ci diciamo “Tanto, meglio di così, non poteva andare” anziché dire “Potevo fare di meglio”.

Ma tornando di nuovo all’arte, possiamo dire che: se il fatalismo è un atteggiamento che da una parte accomuna le due civiltà, greche ed etrusche, dall’altra parte le distingue perché i greci sono riusciti a spuntarla, mentre gli etruschi ne sono rimasti succubi. Tutto è stato determinato dalla capacità di reazione al fatalismo.

Entrambi, greci ed etruschi, credevano in più divinità che esercitavano il potere di pilotare gli eventi e decidere il destino degli uomini. Solo che i greci avevano stabilito con loro un rapporto confidenziale, e in un qualche modo erano riusciti a “fare pace” con gli dei, conferendo loro caratteristiche fisiche e sentimentali identiche a quelle degli uomini. Le sculture ne sono una testimonianza palese.
Questo rapporto, per così dire, positivo con le divinità non ha fatto altro che giovare soprattutto alla loro arte, in cui tutto è a misura d’uomo: i templi, le statue, le città (le famose polis con le quali hanno esportato un nuovo modello di governo: la democrazia). Insomma prevale l’armonia delle forme e delle proporzioni. Ecco perché l’arte greca, architettura e statuaria in particolare, hanno raggiunto dei livelli di ineguagliata perfezione. La testa degli artisti greci era sgombra da preoccupazioni. Non avevano nulla da temere dalla vita, anzi la esaltavano e il corpo umano, che incarnava anche quello degli dei, era la massima espressione di questo inno alla voglia di vivere.

“I Tirannicidi” sono stati il simbolo dei valori democratici, decantati soprattutto nell’Ottocento. Fonte Wikipedia

Di contro gli etruschi temevano le loro divinità, e l’idea fondamentale che reggeva il loro modo di vivere era… la morte. Ciò significa che le loro aspettative, le loro aspirazioni, il piacere e la convivialità erano prerogative da prorogare nella vita ultraterrena. Ecco perché la parte migliore della loro cultura, cioè l’arte, era riservata agli ambienti funerari. I colori sfavillanti degli affreschi potevano essere ammirati dal defunto solo una volta che questi fosse passato a miglior vita. Gli etruschi, dunque, vivevano nel terrore che il destino riservasse loro spiacevoli sorprese, a cui non si poteva porre rimedio, se non con l’attesa della morte. E in verità, penso che fosse abbastanza dura, dal punto di vista emotivo, essere un etrusco a quei tempi.

Ecco perché alla fine l’arte etrusca, salvo delle pregevoli eccezioni, è meramente decorativa e non ha avuto lo stesso piglio travolgente dell’arte greca.

E voi dove vi collocate: nell’età classica o nell’età del divano?

Se siete arrivati fino a qui a leggere tutto il post (bravi!) capirete che per produrre un qualcosa nella vita che lasci il segno come hanno fatto i greci, dovete reagire positivamente al fatalismo, fare pace con le vostre idee e soprattutto voi stessi; capire una volta per tutte che il tempo per fare le cose è ora e smetterla di prorogare.
Altrimenti rischiate di crogiolarvi e vivere un’intera “Età del divano” a rimuginare e sperare di godervi tutto dopo la morte. Meglio farlo ora, no?.

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