Spazio Bianco

Quello che mi sto apprestando a scrivere oggi, 17 marzo 2020, una bellissima giornata di sole in cui fatichi a credere che l’aria lì fuori sia velenosa, è un articolo un po’ diverso dal solito.
So che chi mi segue è abituato a leggere dei racconti dell’arte, ma data la situazione attuale, in piena emergenza da Coronavirus, ho deciso di utilizzare questo spazio, che ho intitolato Spazio Bianco (proprio perché privo di immagini), per dare voce a una categoria lavorativa che continua a fornire servizi indispensabili in un periodo di crisi come questo e penso sia giusto darle un po’ di visibilità.
Sto parlando degli operai che lavorano nel settore alimentare, più precisamente degli addetti alle vendite nelle varie catene di supermercati, che ogni giorno sono presenti sul posto di lavoro a rifornire di merci gli scaffali, i banchi di frutta e verdura, di salumi, di pane, pesce, carne e servire la clientela alle casse.
Premetto che sto scrivendo questo articolo non per fare polemica, anzi come succede in ogni periodo di crisi, colgo questa occasione per condividere con te, con voi, delle riflessioni attraverso qualche feedback personale.

Torniamo a noi: perché mai, Giuseppe, accendi il PC e ti metti a scrivere un post sul lavoro nei supermercati?
Semplice: perché anche io sono uno di quegli addetti alle vendite; nel mio tempo libero infatti, cioè quando non scrivo, non studio e non leggo, lavoro in un supermercato qui a Parma, come addetto al reparto ortofrutta. È un tempo libero a cui dedico buona parte della settimana, anche perché, al momento, è la fonte primaria di guadagno che mi consente di portare avanti il mio lavoro principale e cioè quello di raccontare storie, che è il mio obiettivo principale.

Sto scrivendo questo post perché se non ci fossi dentro a questo lavoro, molto probabilmente apparterrei alla categoria di persone che (per fortuna stanno diminuendo, ma persistono) tende a minimizzare il problema.
Se non ci fossi dentro a questo lavoro, apparterrei alla categoria di persone che, giustamente, scazza di brutto a restare chiusa in casa quasi 24 ore su 24.
Se non ci fossi dentro a questo lavoro, mi lamenterei anche io di attendere per ore in fila fuori al supermercato e farei la faccia schifata se poi negli scaffali ci fosse acqua liscia anziché frizzante.
Non è retorica: sono un abitudinario e mi rendo conto di quanto sia difficile rinunciare a tante piccole cose che ognuno di noi si è conquistato con il sudore della fronte e che messe tutte insieme costituiscono gli obiettivi di una vita.
Ma oggi gira così e purtroppo non possiamo fare nulla, se non rispettare le regole: questa cosa, di rispettare le regole la possiamo fare.

Perciò ve lo scrivo anche io, da queste righe: fate la spesa solo se è davvero necessario. Se vi manca l’aglio per un’insalata, o una Coca-Cola sopportate lo sforzo di farne a meno per qualche giorno. Non è la fine del mondo.
Nel punto vendita dove lavoro, mi capita di vedere molti anziani fare la spesa; troppi, dato che sono i soggetti più appetibili per la fame del Coronavirus.
Ma non ci sono solo gli anziani: ci sono persone che fanno spesa più e più volte al giorno, altri che arrivano in coppia o con i bambini quando invece è stato espressamente scritto che può fare la spesa solo un membro per famiglia.
E c’è ancora chi non rispetta la distanza di sicurezza di almeno un metro dall’altro, si ammassa sui banchi della frutta e verdura e io e i miei colleghi dobbiamo spesso richiamare le persone all’ordine, che, per quanto mi riguarda è una cosa spiacevole.
Ma noi siamo esposti quotidianamente al contatto con le persone e di conseguenza al rischio di contagio e abbiamo paura di ammalarci. Siamo anche molto stanchi perché ci ritroviamo a fare turni più lunghi, coprire malattie e svolgere molte più mansioni del previsto.
Nonostante siamo fasciati dalle mascherine, i nostri sguardi si incrociano sempre, per darci sostegno l’uno con l’altro.
Altre volte però la stanchezza è davvero tanta e quando ci guardiamo lo sentiamo, nel pensiero che ognuno di noi chiede all’altro: “Quando finirà tutto questo?”
Non c’è una risposta precisa a questa domanda, ma più osserviamo le regole che ci sono state prescritte e prima tutta quanta questa storia finirà.

Tra le altre cose, il punto vendita per cui lavoro è ubicato nell’immediata vicinanza dell’Ospedale Maggiore di Parma e ti assicuro che di sirene di ambulanze che urlano all’impazzata se ne sentono tante, troppe.
Ma c’è anche un altro orecchio che sente: quello emozionale. Mentre lavoro nel reparto, sento a livello emotivo gli sforzi, la stanchezza e anche la disperazione di medici, infermieri e dei giovanissimi specializzandi (alcuni dei quali conosco) che lavorano strenuamente a pochi passi da noi.
Per rispetto del nostro e soprattutto del loro lavoro, lo ripeterò fino allo sfinimento: restate a casa il più possibile, uscite a fare la spesa solo in caso di vera necessità, rispettate la distanza di sicurezza e non banalizzate questo delicato momento storico.

Inizialmente anche io era tra quelli che a gennaio minimizzava la situazione quando era ancora lontana a migliaia di chilometri da noi, a Whuan. Ma da gennaio a oggi sembra passato un secolo e ora il problema ci appartiene. Qualche cliente (forse, per stigmatizzare la paura) mi ha detto che “stanno ingigantendo la cosa”: assolutamente no.
C’è un fatto reale e oggettivo e cioè che negli ospedali scarseggiano i posti letto e le rianimazioni.
Come scritto nell’articolo di rainews.it di ieri, 16 marzo, il trend dei nuovi casi è teso al ribasso, ma allo stesso tempo in un giorno il virus ha mietuto 349 vite.
349, in un solo giorno.

Ergo, più ci impegniamo a spezzare la catena del contagio, il che vuol dire restare chiusi in casa il più possibile per salvaguardare noi stessi e soprattutto gli altri (gravando il meno possibile sulle spalle di medici, infermieri, farmacisti e lavoratori come noi), e prima ne usciremo.
Mai come ora, ci vuole il massimo senso di responsabilità e impegno civile nell’osservare le regole. Restiamo a casa e facciamo la spesa solo per comprare ciò che è davvero necessario.
Detto questo, appena possibile riprenderò a scrivere i consueti Racconti ad Arte.

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