La Sindrome di Manet.

Essere figlio della propria epoca e al tempo stesso, precursore…  
Al Salon di Parigi che si svolse 1869, l’esposizione di un dipinto fece molto scalpore tra la critica.
Il quadro in questione mostrava al pubblico una realtà cruda e devastante, che mai pittore avrebbe osato rappresentare.
Ma cosa poteva mai esserci di così scabroso in questo quadro: la rappresentazione di un omicidio? Scene di cannibalismo? Figure equivoche?
Niente di tutto questo.
Il soggetto della rappresentazione era costituito da un semplice balcone.


Manet: il balcone (1869)
Manet: il balcone (1869)

Nonostante l’innocente rappresentazione di tre figure affacciate ad un balcone, la critica si avventò in modo feroce nei confronti del quadro, al punto di paragonare la tecnica pittorica di Manet (1832-1883) a quella di un imbianchino, proprio perché il pittore aveva dato troppa importanza alla rappresentazione dell’inferriata del balcone.
Manet non era nuovo a questo tipo di critiche, che lo accusavano di essere rivoluzionario ed iconoclasta; sei anni prima aveva suscitato grosso scalpore  anche la sua Colazione sull’erba, esposta al Salon dei Refusés e non a quello Ufficiale: il quadro rappresenta due uomini in compagnia di altrettante donne, una delle quali completamente nuda.
Eppure la Storia dell’Arte è ricca di rappresentazioni di nudo fin dai tempi dell’antichità che, salvo  eccezioni, hanno superato la censura.
Che problema c’era nella pittura di Manet?
Semplice: Manet dipingeva il Contemporaneo.
La Colazione sull’erba era una rappresentazione della sua epoca, di persone a lui coeve; nella figura del nudo non c’è nulla di allegorico e nessun rimando a sacre virtù: due uomini borghesi sorpresi a chiacchierare con una donna nuda, dalla bella presenza.
Non è difficile immaginare come si concluse questa colazione!
Manet: Colazione sull'erba (1863)
Manet: Colazione sull’erba (1863)

Il Contemporaneo.
Il rifiuto a livello istituzionale della pittura di Manet, era dovuto proprio al “sapore” contemporaneo che le sue opere esprimevano.
La Rivoluzione Francese (di indole borghese) era ormai passata da un pezzo e la borghesia costituiva buona parte della classe dirigente del paese: la borghesia, quindi era riuscita ad ottenere il potere.
E si sa che il potere genera vizi.
Dipingendo la Colazione sull’erba, Manet metteva a nudo uno dei tanti vizi di cui l’uomo borghese era affetto: la prostituzione.

Ma chi era in realtà, l’uomo Manet?

Si potrebbe pensare che Manet fosse un uomo venuto dal popolo, pronto a sfidare il potere delle istituzioni a suon di pennellate e cromie dai toni vivaci e brillanti.
Assolutamente.
Manet proveniva da un’estrazione sociale profondamente borghese, con una formazione culturale di tipo borghese, vivendo un tenore di vita che solo un borghese come lui poteva permettersi, mentre molti suoi amici pittori pativano la fame.
Non aveva la benché minima intenzione di sradicarsi dall’humus sociale nel quale era cresciuto; certo la sua vocazione di pittore gli portò ad avere non pochi scontri con la sua famiglia, che lo vedeva meglio come avvocato, ma la sua determinazione fu tale che riuscì ad affermarsi come pittore ed inizialmente fu apprezzato anche dalla critica ufficiale.
Le sue opere miravano alla rappresentazione di soggetti contemporanei, di cui egli mostrava le caratteristiche più lampanti, attraverso l’uso sapiente della tecnica pittorica.
Il suo obiettivo era quello di esporre al Salon Ufficiale. Manet aveva le idee molto chiare in proposito: secondo lui l’arte doveva passare sempre attraverso i canali ufficiali delle istituzioni.
Poco importava (a lui) se il suo modo di dipingere ispirò il movimento che di lì a poco avrebbe spalancato le porte all’arte facendola entrare in una nuova era: l’Impressionismo.
Poiché se è vero che Cézanne(1839-1906) è stato indicato dalla storiografia come il padre dell’Arte Contemporanea, Manet ne è stato il suo più grande ispiratore.
Mentre tutti i più grandi critici affossavano e denigravano le sue opere, un gruppo di giovani pittori lo venerava come mentore e guida della nuova maniera di dipingere: ma lui rifiutò sempre questa etichetta, pur sostenendo (anche economicamente) la generazione futura.
Era pur sempre un borghese.

Un borghese visto da un altro borghese.

Per capire meglio la personalità Manet, è opportuno far riferimento ad un’opera un po’ più contemporanea, realizzata dal pittore belga Magritte (1898-1967) la cui estrazione sociale è profondamente borghese; l’opera in questione s’intitola (guarda caso)  Prospettiva: il balcone di Manet II.
Magritte: Prospettiva: il balcone di Manet II (1950)
Magritte: Prospettiva: il balcone di Manet II (1950)

Tralasciando tutte le interpretazioni a cui un’opera di stampo Surrealista è soggetta, limitando l’attenzione alla lettura del titolo ed alla visione del quadro è estremamente semplice coglierne il messaggio: Manet era un uomo, figlio del suo tempo, innamorato della sua epoca e del suo stato sociale.
I soggetti da lui rappresentati non sono eterni, ma muoiono e si decompongono: questa era la realtà che i suoi contemporanei non volevano accettare, perché avevano paura di quell’uomo che rischiava di metterli in ridicolo attraverso rappresentazioni “sarcastiche”.
E quando si ha paura , possono accadere tre cose:
1. Ci si nasconde.
2. Si supera la paura.
3. Si nasconde l’oggetto della paura, per mascherare le proprie debolezze.
 Nel caso di Manet, purtroppo la Società Civile ha optato per la terza scelta e il genio del maestro sarebbe stato riconosciuto solo dopo la sua morte.
Conclusione.
Ipotizzando una “diagnosi”, si potrebbe dire che la Sindrome di Manet è connotata da quell’ostinazione da parte di un individuo a voler rappresentare una realtà semplice e soprattutto contemporanea, che permette ad una Società di prendere coscienza di sé stessa. Dal canto suo invece, la Società  (intimorita) tende ad ostracizzare queste rappresentazioni, annientando la personalità di chi osa mettere in evidenza tutto ciò, confinandolo ai margini.
Ringraziamenti & Riflessioni.
Si ringrazia vivamente Cristiana Tumedei per aver affrontato disquisizioni insieme al sottoscritto, in merito al  tema “come vivere e come far vivere il presente” e che hanno permesso lo sviluppo di questo post.
L’autore di questo post inoltre, vi lascia con una domanda e  mette a disposizione un’immagine:
<< Se aveste a disposizione il balcone di Manet vuoto, in che modo lo usereste?>>
Manet l’ha usato per raccontare il suo presente a suo rischio e pericolo.
Ma attenzione, qui non c’è pericolo di essere vittima della Sindrome, perché lo si fa per gioco (forse).
Il balcone di Manet vuoto.
Il balcone di Manet vuoto.

10 commenti su “La Sindrome di Manet.”

  1. Cristiana Tumedei

    Innanzitutto grazie per la citazione.
    La tua riflessione sulla Sindrome di Manet è davvero interessante. Fondare la propria produzione artistica sul Contemporaneo significa mettersi in gioco più che mai.
    Parlare del presente senza timori è abbandonare le utopistiche paure proprie degli esseri umani e aprirsi al confronto.
    Credo che una scelta del genere sarebbe perfetta per un’attività di comunicazione trans-mediale che, come modalità di interazione, mi pare essere la più in linea coi tempi.
    Questa volta sei stato tu ad offrirmi un interessante spunto di riflessione al quale lavorerò prossimamente. Grazie!

  2. Buona Sera Cristiana!
    La citazione era d’obbligo, perché questa “teoria” l’ho elaborata “ai tempi del liceo”, ma è grazie alle nostre disquisizioni che ho avuto il coraggio di mettere tutto nero su bianco, quindi per questo sono in debito con te! 🙂
    Certo non mi aspettavo che questo tipo di riflessione tornasse utile anche sul tuo lavoro, ma la cosa non mi spiace affatto, anzi mi gratifica perché conferma quell’idea di “cultura attiva” in cui ho sempre creduto.
    A presto! 😀

  3. Ci metterei le persone piú speciali che ho conosciuto. Poco artistico vero? Beh ma ogni persona per me rappresenta l’incarnazione delle tre caratteristiche piú importanti. Magari non sarebbe tanto male il mio balcone, o no?

  4. Ciao Andrea, sono contentissimo di trovarti qui a commentare!
    Assolutamente!
    Faresti la stessa cosa che ha fatto Manet: ha messo le persone di cui lui nutriva la massima stima.
    In particolare, la figura in primo piano seduta e affacciata al balcone è stata la sua allieva, modella, musa e forse anche amante (questo non si è mai capito).
    Penso il tuo sarebbe davvero un bel balcone, anche perché hai colto in pieno lo spirito con cui è stato scritto questo post 🙂
    Ti auguro di trascorrere una buona serata 😀

  5. Io su quel balcone immagino me stessa. Appoggiata alla ringhiera, leggermente sporta in avanti, i capelli sciolti, le guance arrossate dal vento. In una sorta di affaccio alla vita e con un profondo senso di libertà nel cuore.

  6. Salve Giuliana!
    Benvenuta nel Blog e ti ringrazio infinitamente per la traccia (bellissima) che hai lasciato.
    Personalmente ammiro molto la tua visione del balcone, perché riesci a mettere te stessa e mostri tutto l’amore che hai per la vita (le guance arrossate, il sangue che affluisce prepotente, la linfa che scorre!): non è cosa da poco.
    Spero un domani di potermici mettere in prima persona su quel balcone, proprio come hai fatto tu, ma ho ancora tanta strada da percorrere e, in un certo senso, preferirei che il mio balcone restasse ancora vuoto ancora un po’: è il mio modo di percorrere un viaggio (interiore) che quando sarà arrivato al suo culmine mi farà capire se la strada che sto intraprendendo sia effettivamente quella giusta.
    Buona serata 🙂

  7. Buona serata anche a te 🙂
    Se vuoi, nel frattempo, finché il tuo balcone rimane vuoto, ti riservo un angolino sul mio, seduto un po’ in disparte – ma con un filo di vento che ti sfiora i capelli.

  8. Rifiutare il tuo invito sarebbe davvero poco educato e per me l’educazione viene prima di tutto 😀
    Sono contentissimo che il mio post abbia lasciato una traccia in te: questo è un elemento fondamentale perché mi spinge a proseguire nel viaggio che ho intrapreso.
    Di nuovo buona serata Giuliana 😀

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