Diario di Brera: il monumento a Giuseppe Parini e quella storia degli occhi al cielo

Dopo la visita al cortile d’onore di Brera, con i relativi monumenti che circondano il suo perimetro più quella di Napoleone che domina al centro, mi sembra giusto iniziare a salire di livello: cioè bisogna proprio andare al piano superiore e percorrere una rampa di scale per accedere alla Pinacoteca vera e propria.
In realtà le rampe di scale sono due: una a destra e un’altra a sinistra.
Da che parte si va? Dato che sono mancino, scelgo il lato destro!
Nel punto in cui la scalinata sgomita, ecco che fa capolino un altro monumento in marmo, scolpito dallo scultore ravennate Gaetano Monti, sul cui basamento si leggono nome e cognome a carattere cubitali: GIUSEPPE PARINI.

Monumento a Giuseppe Parini in marmo realizzato da Gaetano Monti [Illustrazione]

Premessa satirica

Come ci racconta l’Enciclopedia della Treccani, Giuseppe Parini era un “Poeta (Bosisio, od. Bosisio Parini, 1729 – Milano 1799). Ordinato, senza vocazione, prete (1754), accettò il programma dell’Illuminismo e intese la poesia come forza educativa all’«utile», adottando spesso un rigoroso stile neoclassico.”

Secondo il buon Giuseppe (quanto mi piace scrivere le storie dei personaggi importanti che sono miei omonimi!) la poesia doveva portare un valore pragmatico e non diventare uno scritto fine a se stesso. Vivendo in pieno Illuminismo non poteva essere altrimenti. Tant’è che su questo concetto, Parini ha costruito una delle sue opere più importanti: Il Giorno, un poema satirico in cui l’autore fa largo uso di una particolare figura retorica: l’antifrasi, vale a dire uno strumento della scrittura creativa in cui se si vuole parlare male o denigrare un qualcosa, un qualcuno, si fa l’esatto opposto parlandone… bene!
Facciamo un esempio pratico: se al vostro primo appuntamento con la persona che vi piace inciampate sul ciglio del marciapiede e capitombolate, qualcuno vi dirà: «Hai fatto proprio una bella figura!».
Bene, quell’espressione è un’antifrasi, ossia un modo ironico per divi che avete fatto una figura di m***a.

Ecco, Giuseppe Parini compone Il Giorno come se fosse una sorta di galateo di un giovane aristocratico che vive nel Settecento, ma in realtà prende in giro tutta la nobiltà di quel periodo perché aveva delle abitudini ormai anacronistiche e in contrasto con i cambiamenti che l’Illuminismo stava portando.
L’altra particolarità di questo poema, che lo ha reso molto popolare è il fatto che sia stato scritto in dialetto milanese. L’espediente di usare il dialetto milanese (e anche l’antifrasi) è stato così efficace che anni dopo anche un giovane scrittore seguirà l’esempio di Parini: Tommaso Grossi con la sua Prineide, avrà tanto successo da causargli addirittura qualche guaio giudiziario con i sovrani di Milano.

Cosa c’è ma non si vede?

Conoscere questo aspetto della storia di Giuseppe Parini è importante per capire alcune particolarità del monumento, che noi oggi vediamo come l’illustrazione che ho realizzato qui sopra, ma che in realtà il suo creatore, Gaetano Monti, aveva concepito in un altro modo. Infatti quando noi guardiamo qualsiasi opera d’arte, come il monumento in questione, non facciamo altro che ammirare l’ultima parte di un [più o meno lungo] processo creativo, non sempre facile da gestire. In realtà, ci sono altre cose che costruiscono l’opera d’arte e che non vediamo: come il bozzetto preparatorio che in questo caso era costituito da una vera e propria statua in gesso.

Ora, se è vero che noi questo bozzetto non lo possiamo vedere, c’è stato chi in passato ha potuto farlo per noi. E ha riportato tutto su un giornale intitolato L’Eco, Giornale di scienze, lettere, arti, mode e teatri: una specie di Focus di primo Ottocento. Inoltre il giornale è digitalizzato sulla biblioteca di Google!
Al numero 8 di questo giornale è dedicato un trafiletto proprio al modello in gesso di Parini realizzato da Gaetano Monti, in cui si dice che le qualità dello scultore sono innegabili e, tuttavia, ci sono dei particolari che stonano, come gli occhi rivolti al cielo, le maniche arrotolate sui gomiti e altri elementi anacronistici.
Per i critici, probabilmente, le maniche arrotolate poco si confacevano a un uomo di lettere come Giuseppe Parini: non era mica uno scaricatore di porto, diamine! 

Ma perché gli occhi non potevano essere rivolti al cielo?

Perché (ed è scritto nell’articolo) lo scultore deve tenere conto del fatto che quando uno scrittore fa satira, il suo sguardo non è rivolto in alto per trovare l’ispirazione, tutt’altro! Gli occhi puntano su di noi, cioè nella direzione degli uomini. Lo scrittore che fa satira ha ben presente chi è il suo soggetto, non deve cercarlo né in cielo, né altrove.

La capacità di accogliere i feedback

Busto in marmo di Antonio Canova realizzato da Gaetano Monti
[Illustrazione]

Ora, non è che Gaetano Monti fosse un bravo scultore: era un vero e proprio talento.
Giovanissimo, vinse un gran numero di premi accademici del Nord Italia, ebbe commesse importanti e prestigiose; fu allievo del Canova e gli fece persino un busto per il quale il maestro veneto rimase a bocca aperta. E considerando che, in epoca Neoclassica, Antonio Canova  era considerato il più grande e indiscusso artista del mondo, suppongo che sorprenderlo in modo positivo sia stata un’impresa tutt’altro che facile.

Il ritratto di Canova realizzato da Monti più che essere una scultura di marmo è un vero e proprio gioco di luci, che mette in evidenza la fronte ben levigata del maestro (sede del pensiero illuminista) e usa i contrasti sul muso al punto che ci restituisce l’impressione che Canova stia iniziando a sorridere.

Gaetano Monti era dunque un maestro indiscusso della scultura, degno erede di Canova eppure, quando gli furono mosse le critiche sul bozzetto in gesso della statua di Giuseppe Parini, lui corresse gli errori di stile: abbassò le maniche, riposizionò lo sguardo dello scrittore che ora è sì rivolto verso di noi, anche se è difficile leggere la posizione esatta delle pupille. Questo escamotage permette alla statua di guardare a chiunque e in qualunque direzione.

L’umiltà: cioè l’uso intelligente delle critiche

Bisogna dunque riconoscere a Monti l’umiltà di accogliere le critiche che gli furono avanzate, sulle quali, anziché avvilirsi o contestarle, le ha usate per perfezionare la sua scultura.
Perché è questo ciò che fa un artista, o, per essere di più ampie vedute, una mente creativa: trae vantaggio dagli intoppi e fa dei capolavori.

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