Qual è la "Sala del piedino" all'interno della Pinacoteca di Brera?

Se qualcuno mi chiedesse: “Cos’è che ti ha colpito di più dalla tua visita al Museo di Brera?”, gli risponderei che uno dei ricordi più forti che ho incollato nella mente è quello della “Sala del piedino”. Un ricordo che fisso in queste righe del blog anche perché i funzionari della Pinacoteca di Brera stanno risistemando gli allestimenti dei suoi ambienti e probabilmente il post che state leggendo sarà l’unica traccia di questa testimonianza.

La “Sala del piedino”, dicevo. Certo, se ora voi andaste a consultare le guide o i cataloghi della Pinacoteca di Brera, il nome di questa sala non lo trovereste da nessuna parte. O almeno non lo trovereste scritto in questo modo, perché la denominazione “Sala del piedino” l’ho attribuita io a un’ala del museo in cui sono raggruppate tutte le opere dei maestri marchigiani: vale a dire una sala in cui sono esposte delle pale d’altare dipinte da pittori provenienti dalle Marche o che hanno lavorato in questa regione dell’Italia centrale.
Giustamente qualcuno si starà chiedendo: “Com’è possibile che dalle Marche si finisce al piedino?”
Ve lo spiego subito; ma prima concedetemi pochissime righe di premessa storico/tecnica.

Le pale d’altare presenti in questa sala sono state realizzate in un periodo a cavallo tra il 1400 e gli inizi del 1500; un arco di tempo che si incastra all’interno del Rinascimento che sappiamo essere una fase storica che succede al Medioevo.

E come si fa a distinguere un’opera d’arte rinascimentale da un’opera d’arte medievale?

Facendo una classificazione generica (con le dovute eccezioni), possiamo dire che i dipinti medievali presentano il fondo in oro, mentre i dipinti rinascimentali hanno subito l’evoluzione della prospettiva.
Motivo per cui i pittori rinascimentali giocano con la geometria, creano illusioni ottiche per garantire una continuità dello spazio che “sfonda” il dipinto, in cui oltre alle figure umane ora si “vedono” paesaggi o panorami di città o di natura. Il tutto rigorosamente in tre dimensioni.
E, dato che i dipinti dei pittori marchigiani all’interno di questa sala sono stati realizzati proprio nel periodo rinascimentale, ci aspetteremmo di trovare delle piacevoli costruzioni prospettiche.

E invece no.

A parte qualche finto tentativo prospettico, le opere presenti in questa sala hanno tutte il fondo in oro. Improvvisamente, mentre osserviamo queste pale d’altare, balziamo indietro di quasi un secolo nella Storia dell’Arte. Dietro le figure umane (tridimensionali), tutto è calmo, tutto è piatto e tutto il fondo è bidimensionale.

Sembrerebbe quasi che mentre nel resto d’Italia e d’Europa i pittori mettevano in atto l’upgrade prospettico, nelle Marche si fosse innalzato un muro di gomma pronto a respingere qualsiasi forma di innovazione.
Sembrerebbe quasi, ho scritto [non a caso] in corsivo.

Perché in realtà i pittori raggruppati in questa sala del Museo di Brera erano perfettamente a conoscenza del cambiamento stilistico avvenuto in tutta la penisola: lo dimostra un piccolissimo particolare che si vede alla base dei loro dipinti. Alcune figure infatti (non tutte), hanno la punta del piede che “sporge” prospetticamente oltre il piano d’appoggio della tavola dipinta, creando la [timida] illusione che una piccola parte del corpo del personaggio invada il nostro spazio.

Insomma come si suol dire per un seduttore che fa il piedino, anche i pittori marchigiani facevano i finti tonti!

Perché quel piedino messo fuori, li “incastra”: è la prova di quanto fossero perfettamente a conoscenza delle tecniche illusorie generate dalla prospettiva, eppure non l’hanno applicata fino in fondo.
Si sono limitati a fare piedino.

I particolari mostrati in foto, appartengono ai polittici esposti nella Pinacoteca di Brera, all’interno della sala dedicata ai maestri marchigiani.

Ma perché questi grandi maestri hanno “taciuto” la loro conoscenza della prospettiva dal punto di vista tecnico?

Beh, l’uso della prospettiva avrebbe significato mettere in atto un cambiamento radicale nel loro modo di dipingere, che avrebbe fatto storcere il naso a una buona fetta di committenti abituati alla pittura di tradizione (con il fondo in oro, appunto). Inoltre questi pittori erano dei virtuosi della pittura di nature morte, di tessuti (che a vederli da vicino sembrano siano veri) e spingevano su queste abilità credendo di farla franca sulla rivoluzione artistica in corso con un semplice piedino.

Insomma, i pittori marchigiani temevano che l’uso della prospettiva li screditasse e facesse perdere loro dei clienti. E non si sono resi conto che bypassando la tecnica della prospettiva, sarebbero stati messi da parte lo stesso.

La “Metafora del piedino”

Ecco spiegato il perché, dalla mia visita alla Pinacoteca di Brera, la “Sala del piedino” mi è rimasta impressa in modo preponderante. Tant’è che ora uso la metafora del piedino per indicare proprio la mancanza di audacia di chi, pur conoscendo gli strumenti e avendo a propria disposizione tutto il talento necessario per portare un cambiamento significativo (a se stesso e a chi lo percepisce), semplicemente, non vuole farlo per pigrizia o per paura di mettersi in discussione; anzi, si limita a mettere un piedino fuori dal punto d’appoggio per far vedere quanto potrebbe essere bravo, ma alla fine non fa proprio nulla.

E noi sappiamo che per dar vita a un cambiamento che lasci il segno, il piedino non basta. Bisogna esporsi, anima e corpo.

4 commenti su “Qual è la "Sala del piedino" all'interno della Pinacoteca di Brera?”

  1. Ciao Franz, mi fa piacere che ti sia piaciuto questo scritto! 😀
    E il senso è proprio quello che tu hai scritto nel commento! Del resto tu sai benissimo, con la disciplina sportiva, quanto impegno mentale e motivazionale, prima di tutto che fisico, richieda l’uscita dalla comfort zone. 🙂

  2. è che non ci penso nemmeno per un attimo a metter fuori il piedino da quella che è la mia vera comfort zone… A me il tuo scritto è piaciuto anche perchè mi ricorda quante volte mi ci appoggio 🙂

  3. Uhm, dipende sempre da cosa intendi tu per comfort zone, Franz. Per fare un esempio pratico: la comfort zone di Michelangelo era la scultura che con lui ha toccato livelli irraggiungibili. Eppure, Michelangelo nel mondo è ricordato soprattutto per aver dipinto la Cappella Sistina. Cos’è che ha spinto Michelangelo fuori dalla sua zona di comfort (cioè passare dalla amata scultura alla odiata pittura)? Beh, il fatto che la commessa arrivasse direttamente dal Papa “guerriero”, Giulio II, mi sembra una motivazione più che valida (provare a rifiutare una commessa del genere, significava compromettersi il futuro).
    A che livello è la tua vera comfort zone? E, soprattutto, hai davvero una motivazione più che valida (come per Michelangelo) per spingerti al di fuori di essa?

Rispondi